Lavorare con i bambini che presentano disturbo specifico di apprendimento, richiede competenze acquisite sia in campo diagnostico che terapeutico; una diagnosi accurata che pone in evidenza, oltre alle difficoltà di base, anche gli ambiti di competenza e di potenzialità del soggetto, permette la progettazione e l’attuazione di percorsi terapeutici personalizzati ed efficaci che garantiscono l’evoluzione dei processi di acquisizione della letto - scrittura e logico – matematici, riducendo le difficoltà e promovendo la conquista di livelli più adeguati di autostima.
E’ inoltre importante riuscire ad entrare in
contatto con la sofferenza di questi bambini, con la loro ansia, con il
loro disagio, spesso alla base di condotte inadeguate, di atteggiamenti
oppositori e provocatori, di reazioni di disimpegno, frequentemente
osservabili in questi soggetti, soprattutto quando il problema non è
stato riconosciuto precocemente.
Il bambino con disturbo specifico si trova spesso
stretto in una morsa: egli non conosce la propria difficoltà, ma, con
l’ingresso della scuola elementare, inizia a vivere esperienze negative e
frustranti; i compagni apprendono e imparano a fare ciò che a lui
rimane difficile, gli insegnanti lo sollecitano, mettono in evidenza i
suoi errori, lo stimolano a lavorare meglio al punto che, nel bambino,
può farsi strada una terribile certezza: non so fare, non sono capace.
D’altro canto i docenti si sentono persi: quel
bambino ai loro occhi appare intelligente, curioso e allora, perché non
apprende? Forse non si impegna abbastanza, forse non è interessato alle
attività, forse ha troppa voglia di giocare… ed ecco che iniziano a
prendere campo le sollecitazioni e i rimproveri, gli atteggiamenti di
eccessiva gratificazione alternati ad atteggiamenti di scoraggiamento e
avvilimento.
Nel frattempo la famiglia ha già avvertito il
pericolo; i genitori si rendono conto che il loro figlio procede più
lentamente dei compagni, i compiti a casa sono una tragedia… eppure
sembrava un bambino capace, vivace, sveglio.
Quando anche gli insegnanti confermano la
difficoltà, i genitori si sentono feriti, quasi offesi e, dopo i primi
momenti di smarrimento, iniziano a porre in atto reazioni che, a seconda
dei casi, sono molto diverse tra loro.
In alcune situazioni, la comunicazione ricevuta sul
figlio scatena vecchi conflitti nella coppia genitoriale, ciascun
genitore valuta la situazione con parametri diversi e indica diverse
soluzioni, si attribuiscono reciprocamente responsabilità,
manchevolezze, colpe e il figlio viene a trovarsi in mezzo ad ostilità
talvolta manifeste, talvolta tacite, ma ugualmente dolorose. Oltre ad
essere incapace a scuola egli si sente anche causa dei litigi tra i
genitori.
In altre situazioni la coppia genitoriale si
coalizza, ma individua nella scuola il nemico da combattere; in questi
casi gli insegnanti sono considerati incompetenti, per cui i genitori si
mettono alla ricerca di risposte che confermino le adeguate capacità
del proprio figlio. Il loro obiettivo non sembra essere quello di
trovare soluzioni al problema, ma quello di invalidare il parere dei
docenti, di dimostrare che sono questi ultimi ad avere sbagliato.
Difficilmente si giunge a porre in atto una modalità di relazione
collaborativa tra scuola e famiglia; quando questo avviene, si assiste a
uno scambio di informazioni utili, alla condivisione di conoscenze, che
rendono il percorso che conduce all’individuazione del problema e alla
ricerca di adeguate modalità di lavoro più sereno e maggiormente
improntato alla fiducia.Fonte: